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Reddito minimo garantito come lotta concreta alle ingiustizie sociali

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Messaggio  Pietro Didì Mer Set 30, 2009 10:32 pm

Il reddito minimo garantito (RMG)
Come correttamente osserva Piero Calamandrei, non basta assicurare teoricamente i diritti al cittadino, “ma bisogna metterlo in condizione di potersene praticamente servire” (1995: 102). Ora, uno dei modi possibili di attuare concretamente il primato dei diritti della persona è quello di istituire un reddito minimo garantito (RMG).
La DD parte dal principio che “nei rapporti tra esseri umani, ognuno è fine in sé e non deve quindi venire mai ridotto come mezzo di altri. Da tale principio deriva che nessuno deve venire personalmente assoggettato a chicchessia per il fatto che questi possiede capitali” (FROMM 1994: 96). Ora, allo scopo di salvaguardare i diritti fondamentali degli individui nei confronti di qualsiasi potere esterno, compreso quello rappresentato dalla maggioranza, la DD riconosce a tutte le persone il diritto ad una vita dignitosa, a tal punto da essere disposta a corrispondere a ciascuna persona un reddito minimo garantito (RMG) o basic income, ossia “una erogazione monetaria di base uguale per tutti” (BACCELLI 2003: 82). Amartya Sen parla di «sicurezza protettiva» “necessaria per fornire una rete di protezione sociale che impedisca a chi ha questi problemi [rovesci di fortuna] di cadere in uno stato di miseria” (2001: 44). Secondo Rawls, è una questione di giustizia: “il concetto di giustizia implica l’istituzione di un minimo garantito del tutto indipendente dalla prestazione del cittadino” (1997: 256). Ma è sicuramente anche una questione di diritti democratici. “La giustificazione del reddito minimo è che esso è un complemento essenziale della libertà politica e giuridica” della persona e un modo per rendere effettiva la libera partecipazione alla vita politica da parte di tutti i cittadini (ATKINSON 1998: 80-1). Il RMG è ispirato al principio «a ciascuno secondo i suoi bisogni fondamentali» e il suo ammontare è stabilito in rapporto alle disponibilità economiche dello Stato.
Solo negli ultimi trent’anni, l’idea di RMG ha richiamato un’attenzione non occasionale, raccogliendo consensi, sia pure motivati in modo differenziato, ma anche critiche. Per quanto possa sembrare estraneo alla nostra cultura, il RMG costituisce una delle questioni “più frequentemente discusse” (SOMAINI 2002: 453) ed è preso in considerazione e raccomandato da autorevoli studiosi. Oggi, io credo, uno Stato che non sia in grado di garantire una vita dignitosa a ciascuna persona, non solo non è democratico, ma non è nemmeno uno Stato civile, quale che sia la causa della sua inadempienza.
Ma che cos’è esattamente il RMG? Chiamato in molti modi diversi (buono di Stato, credito sociale, salario sociale, quota proprietaria di cittadinanza, diritto di cittadinanza, assegno universale, e via dicendo), il basic income è un reddito e/o un pacchetto di beni primari corrisposto dallo Stato alle persone a garanzia dell’esercizio effettivo dei loro diritti del cittadino ed è da ritenere fondamentale in una democrazia degna di questo nome. Non per niente, perfino nell’antica Atene, i cittadini venivano ricompensati economicamente solo per il fatto che partecipavano alle pubbliche assemblee: era una sorta di «reddito minimo» ante litteram, teso a sconfiggere la povertà estrema e a rendere effettivi i diritti di cittadinanza.
Il reddito minimo garantito costituisce l’essenza stessa dello Stato DD, perché garantisce l’effettivo esercizio dei diritti fondamentali (sussistenza, salute, istruzione e libertà), che costituiscono la condizione minima perché una persona sia messa in grado di partecipare proficuamente alla politica. Per quanto alto possa essere, il costo del RMG è, secondo Ferrajoli, sicuramente preferibile “agli sperperi prodotti dagli enormi apparati burocratici e parassitari che oggi amministrano l’assistenza sociale” (2001: 350).
Oltre a garantire i diritti, il RMG funge da paracadute nei rovesci di fortuna, da ammortizzatore sociale e da pensione minima, ed è una valida protezione contro l’insicurezza sociale. Ma il RMG non basta. Lo Stato dovrebbe anche provvedere affinché nessun cittadino sia privo di un alloggio provvisto dei servizi oggi considerati indispensabili (acqua, luce, gas, telefono e riscaldamento), di un’assistenza sanitaria di base e di una scolarizzazione primaria.
Molti studiosi vedono nel RMG quanto meno la volontà di rendere effettivo l’esercizio dei seguenti diritti: “sostegno economico ai disoccupati e lotta alla povertà, inclusione sociale, retribuzione dei lavori domestici ed emancipazione femminile, libertà reale per tutti” (DEL BÒ 2004: 82). Norberto Bobbio afferma che oggi si tende a riconoscere non solo il diritto alla vita, “ma anche il diritto di avere il minimo indispensabile per vivere” (1999: 457). Secondo Ignacio Ramonet, occorre “Stabilire uno stipendio base incondizionato e universale, concesso a ciascun individuo sin dalla nascita, indipendentemente dallo status familiare o professionale, obbedendo al principio – rivoluzionario – secondo cui ogni essere umano ha diritto a uno stipendio vitale per il semplice fatto di vivere e non per vivere” (2003: 167). Philippe Van Parijs vede nel RMG un reddito corrisposto agli individui (e non alle famiglie) in modo incondizionato, a prescindere cioè da eventuali altri redditi percepiti o da attività lavorative svolte dal soggetto, e indipendentemente dalla sua volontà, allo scopo di offrire uno strumento molto più semplice e snello rispetto all’imponente apparato burocratico-assistenziale del Welfare State e di “concorrere a definire, al pari della cittadinanza giuridica, la piena cittadinanza economica e sociale” (in CASADEI 2003: 94). Una proposta simile è avanzata anche da Milton Friedman (1995), il quale prevede un credito d’imposta (credit income tax) o un’imposta negativa sul reddito (negative income tax), ossia, in fondo, l’equivalente di un salario minimo garantito per tutti.
Insomma, se ben congegnato, il RMG dev’essere in grado di rimpiazzare l’intera politica di welfare, che appare sempre più in affanno e incapace di assolvere alle funzioni cui è preposta, nonostante l’enorme quantità di denaro investito in essa. Da questa breve rassegna, possiamo concludere che il RMG “sta riscuotendo crescente attenzione fra studiosi ed esperti”, che tuttavia ancora oscillano tra la tendenza a considerarlo con generica simpatia e la tendenza a vedere in esso la chiave di volta per realizzare una nuova società (CASADEI 2003: 93).
Per come lo vede Atkinson, il RMG si basa su due punti fondamentali: l’introduzione di un’unica aliquota d’imposta del 35% e la sostituzione dell’attuale sistema previdenziale con l’introduzione di un reddito minimo garantito, da corrispondere sotto forma di crediti d’imposta. In altri termini, mentre i percettori di redditi pagherebbero il 35% di tasse sui loro profitti, gli incapienti riceverebbero un rimborso fiscale pari al reddito minimo prestabilito. Atkinson precisa che il reddito minimo dev’essere ritenuto un diritto “incondizionato” oltre che una “proposta praticabile” (1998: XII).
Somaini lo descrive così: “Nella sua forma più diffusa la proposta prevede le seguenti misure: 1) il pagamento incondizionato a tutti e a scadenze regolari di un’uguale somma (il RMG); 2) la sospensione (o la drastica limitazione) di tutte le forme preesistenti di assistenza o previdenza pubblica; 3) una contestuale semplificazione del sistema del prelievo fiscale sul reddito attraverso l’applicazione di un’unica aliquota (flat tax). L’accoppiamento del RMG con la flat tax non è intrinsecamente necessario, ma rappresenta una sua naturale estensione: perché entrambi gli istituti rispondono ad esigenze di razionalizzazione normativa e amministrativa, perché contribuiscono ad attenuare gli effetti distorsivi che accompagnano altri sistemi redistributivi e infine perché grazie ad esso il RMG può godere di consensi maggiori di quelli che avrebbe se fosse associato a qualsiasi altro sistema di prelievo” (2002: 453).
Il RMG non dev’essere fatto dipendere dalla carità o da altre forme di solidarietà, e nemmeno da sussidi o indennità di disoccupazione o benefit o misure temporanee o una tantum, che sono difficili da pianificare e lesive della dignità della persona, ma da un impianto di legge previsto dalla Costituzione. “Se ho bisogno di aiuto perché sono povero, o malato, o anziano, o solo, preferisco che l’aiuto sia il risultato di un riconoscimento di un mio diritto in quanto cittadino [… Perciò] la repubblica ha il dovere di garantire assistenza non come atto di compassione ma come riconoscimento di un diritto che deriva dall’essere cittadini” (BOBBIO, VIROLI 2001: 65-6). Così concepito, il RMG dovrà essere considerato parte integrante della persona e, in quanto tale, non potrà, in alcun modo, essere ceduto, ipotecato o alienato, ma dovrà seguire ciascun cittadino dalla nascita alla morte indipendentemente dal suo censo, dalle sue scelte di vita e dal suo comportamento, come un compendio di tutti i diritti democratici.
Tra gli argomenti addotti a favore del RMG dai singoli studiosi, Casadei ricorda i seguenti: il RMG contribuisce a promuovere “una maggiore libertà individuale e un più autentico rispetto della dignità personale e dunque una maggiore uguaglianza”; aiuta le persone a impostare e svolgere con più libertà e serenità i propri progetti di vita; rispetta la dignità della persona, perché non prevede di indagare sui suoi difetti o sui suoi fallimenti, né richiede l’espletamento di iter finalizzati all’accertamento di una situazione di bisogno; rafforza la posizione dei soggetti deboli all’interno delle loro famiglie; sostituisce “tutti o buona parte degli istituti che svolgono funzioni assistenziali o previdenziali”, riducendo al minimo l’ingerenza dello Stato nelle questioni personali e contribuendo a rimuove lo stigma, che si associa comunemente alle politiche assistenziali; è semplice, tanto da poter “essere facilmente tradotto in una norma costituzionale”; consente ad un soggetto la facoltà di ritirarsi temporaneamente o stabilmente dal lavoro, per le più svariate ragioni; contribuisce a far sì che la società venga percepita come «giusta» e che vengano a ridursi quei comportamento antisociali e criminosi, che sono spesso associati all’esclusione sociale (CASADEI 2003: 95-7).
Lo stesso Casadei menziona i seguenti argomenti contrari: lasciando ai cittadini la facoltà di non lavorare, pur essendo in grado di farlo, si rischia di spezzare il circolo virtuoso della cooperazione sociale, da cui poi dipende qualsiasi politica di welfare; il RMG favorirebbe il parassitismo e lo scrocconaggio; si potrebbe trovare difficoltà a reperire persone disposte ad accettare i lavori più umili o più usuranti; si sposterebbero a livello privato i servizi che adesso sono erogati dallo Stato (scuola, sanità); inoltre, essendo uguale per tutti, il RMG non tiene conto della diversità dei bisogni della gente e dei casi particolari; infine, esso può essere sperperato in pochi giorni da soggetti imprevidenti, che poi potrebbero risultare incapaci di far fronte alle spese relative all’alloggio e ai servizi essenziali (2003: 98-102).
La più insidiosa delle critiche al RMG è certamente quella che insinua il sospetto che esso indurrebbe la gente a non lavorare (GORRIERI 1981: 242) e a spassarsela alle spalle degli altri, come fa il «surfista di Malibù» che, negli scritti di Van Parijs, è diventato il simbolo di chi decide di fare la bella vita coi soldi degli altri. Ma così non è, per una serie di fatti, che sono facilmente prevedibili, ma che andranno verificati sul campo. Intanto, in democrazia, il lavoro è un diritto, e nessuno, di norma, rinuncia tanto facilmente ad un proprio diritto, a meno che non vi siano motivazioni di salute o le condizioni di lavoro siano viste come non convenienti o non dignitose. Nessuno rinuncia spontaneamente ad un buon lavoro, che rispetta i diritti della persona ed è adeguatamente retribuito, anche perché la DD tenderà a diffondere l’idea che il lavoro amplia la sfera dei diritti e contribuisce a motivare il cittadino alla partecipazione e all’assunzione di responsabilità, mentre una persona che rifiuta di lavorare è un cittadino a metà. Oltre a conferire uno status sociale più desiderabile, il lavoro consente di elevare le condizioni economiche del cittadino al si sopra del Minimo e di accrescere il suo potere d’acquisto e la sua sfera di libertà. A queste condizioni, dovrebbe risultare altamente improbabile che una persona rinunci a lavorare e si accontenti del Minimo.
Per ulteriori approfondimenti sui pro e sui contro del RMG rimando al magistrale volumetto di Corrado del Bò (2004), che ci fornisce una panoramica abbastanza ampia ed equilibrata delle diverse posizioni degli studiosi, in cui lascia libero il lettore di crearsi una propria opinione. Evitando di prendere posizione, né coi fautori né coi detrattori del RMG, Del Bò si limita ad affermare che “il reddito di base non è un’idea bislacca e stravagante, ma un tema che può estendere i confini della discussione pubblica su ciò che possiamo richiedere alle istituzioni” (2004: 125).

Pietro Didì

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Messaggio  Augenio Gio Ott 01, 2009 4:07 pm

1)Oggi, io credo, uno Stato che non sia in grado di garantire una vita dignitosa a ciascuna persona, non solo non è democratico, ma non è nemmeno uno Stato civile, quale che sia la causa della sua inadempienza.

2) Lo Stato dovrebbe anche provvedere affinché nessun cittadino sia privo di un alloggio provvisto dei servizi oggi considerati indispensabili (acqua, luce, gas, telefono e riscaldamento), di un’assistenza sanitaria di base e di una scolarizzazione primaria.

Sono totalmente d'accordo sulla 1ma frase e invito a ragionare sulla seconda e sul reddito minimo garantito;

un alloggio provvisto di servizi, acqua,luce,gas, telefono e riscaldamento sono ritenuti indispensabili oggi? dove? qual è il limite dell'indispensabilità? deve avere differenze in base alla geografia o alla storia di un paese?
il reddito poi non è una soluzione; il denaro non è un bene o servizio; garantire un reddito minimo a tutti è come dare nulla a tutti.

Differente è garantire dei servizi minimi a tutti... per riuscire ad offrire dei beni alla propria popolazione bisogna aver ben chiare quali sono le risorse materiali, lavorative e di assorbimento dell'inquinamento di una regione ed in base ad esse vedere che cosa si può ritenere indispensabile e cosa diviene superfluo...

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